Forte del Monte Festa
Storia di un eroe che non vinse nulla
La vicenda che sto per narrarvi racconta di un eroe, un coraggioso comandante che insieme ai suoi valorosi soldati evitò lo sfacelo totale dell'Italia in quei giorni della Grande Guerra. Una storia talmente straordinaria da sembrare sceneggiata per il grande schermo, eppure si tratta di eventi autentici, tragicamente scivolati nell'ombra del tempo. Prima però qualche informazione sul forte.
Situato a 1060 metri di altitudine nelle Prealpi Carniche, il forte rappresentava una posizione strategica di primaria importanza, consentendo il controllo sia della valle del Tagliamento che di quella del Fella, nonché il presidio dei confini settentrionali e orientali del Regno d'Italia. La sua costruzione risale al 1910, quando l'Italia era ancora parte integrante del patto della Triplice Alleanza. Ai piedi del forte furono costruite delle casermette a scopo difensivo, oltre ad una piccola centrale elettrica e una teleferica che collegava direttamente l'avamposto con il paese di Amaro. Il forte disponeva di un armamento principale di 4 cannoni 149A in cupole corazzate, un armamento secondario di quattro cannoni da 149G su affusto con sottoaffusto trasformato a perno centrale, una sezione antiaerea 75A e di una mitragliatrice Perino mod.1908.
Dopo la guerra, il forte fu sistematicamente spogliato di tutto il suo ferro, materiale prezioso per la ricostruzione del territorio devastato dai bombardamenti. Ogni elemento asportabile, dagli armamenti residui alle vettovaglie, dagli attrezzi ai mobili, venne trasportato a valle. Oggi la struttura versa in un totale stato di abbandono, uno spettacolo che ferisce la vista e il cuore, poiché si tratta di un luogo che meriterebbe di essere restaurato e trasformato in un museo della memoria. Purtroppo, l'inaccessibilità di alcuni ambienti è dovuta al deterioramento dei pavimenti in legno, ormai marciti dopo oltre un secolo. Tuttavia, rimangono visitabili le gallerie delle casematte, le postazioni dei cannoni sulla sommità del forte e i depositi di munizioni, anch'essi caratterizzati da pavimenti in legno, progettati per evitare scintille dalle scarpe chiodate dei soldati. Sono ancora visibili i due vani degli ascensori utilizzati per il trasporto delle munizioni.
Planimetria del forte
Siamo alla fine di ottobre del 1917, in un momento cruciale della Grande Guerra. Migliaia di soldati italiani stavano ancora ritirandosi dopo lo sfondamento di Caporetto, dirigendosi oltre il Piave per riorganizzarsi. In quei drammatici giorni, il comando del forte era affidato a un giovane capitano. Riccardo Noel Winderling. Uomo determinato, forte d'animo e rispettato dai suoi uomini per la sua grande umanità. Milanese di nascita, volontario di guerra e ingegnere nella vita civile.
Il 27 ottobre il generale Sacchero, che comandava l'artiglieria del XII Corpo d'Armata, scriveva a Winderling: il forte di Monte Festa dev’essere messo subito in istato di efficienza...resistere se attaccato… concludeva poi il messaggio Sono persuaso che Ella pienamente conscia dei doveri che dalla autorità derivano, saprà a tali prescrizioni uniformare la sua condotta. Il capitano rispose con un sintetico: perfettamente conscio dei miei doveri assumo tutte le responsabilità del caso. Comprese benissimo cosa intendesse il generale e il capitano, in cuor suo, sapeva anche che difficilmente sarebbe sceso vivo da quel monte. Tre giorni dopo Winderling diede ordine di aprire il fuoco contro le truppe del generale Krauss proveniente dal fronte isontino e contro la X armata austriaca che arrivava dalla "Zona Carnia".
In quel momento critico, il forte si trovava in gravi difficoltà; le munizioni scarseggiavano e il personale era insufficiente. Nonostante il caos della ritirata, il capitano Winderling riuscì a ottenere rinforzi e nuove scorte di munizioni. Tuttavia, quando le truppe e i rifornimenti raggiunsero finalmente il forte, emerse una preoccupante realtà: le munizioni a disposizione erano davvero poche, appena mille colpi per i cannoni, e gli artiglieri di rinforzo erano giovanissimi e privi di esperienza.
Invece di scoraggiarsi, il capitano Winderling dimostrò una straordinaria determinazione. Nonostante il fragore delle cannonate e l'incalzare degli austriaci, per quattro giorni interi tenne un intensivo corso di addestramento, trasformando quei ragazzi inesperti in abili artiglieri, pronti a difendere il forte. Una volta preparati i dati di tiro per gli obbiettivi inizia una battaglia senza tregua contro le truppe austriache. Così facendo, Winderling rallentò l'avanzata degli avversari, dando modo alle truppe italiane di ritirarsi verso il Piave.
Il capitano Riccardo Noel Winderling
Verso quella che sarebbe diventata la battaglia che pose fine alla guerra. Perciò non è esagerato dire che Winderling fu fondamentale per la battaglia di Vittorio Veneto. Ma non solo, con la sua strenua resistenza salvò la vita a molti soldati e civili in quei giorni di indescrivibile caos.
Il 6 novembre gli ufficiali della X Armata decisero di mandare una pattuglia al forte. Gli austriaci si presentarono davanti al forte sventolando una bandiera bianca e chiedendo di poter conferire con il comandante. Una volta giunti al cospetto di Winderling, gli intimano la resa in quanto sono completamente cirocndati dalle loro truppe. Il capitano consegna loro una busta indirizzata al loro comandante. Nella busta, su un foglio di carta Winderling scrisse: ho l'onore di rispondere negativamente.
Il capitano Winderling e i suoi uomini erano consapevoli che la loro resistenza non sarebbe potuta durare a lungo. Il forte non era stato concepito per sostenere uno scontro diretto in prima linea, privo com'era di adeguate strutture difensive come trincee, reticolati o campi minati. Eppure, Winderling non si arrese. Continuò a bombardare senza sosta verso la valle sottostante; per gli austriaci fu un inferno di ferro e fuoco.
Arrivò poi il pomeriggio del 7 novembre in cui il forte sparò il suo ultimo colpo. Quel tiro centrò in pieno un deposito di munizioni a Tolmezzo, facendolo esplodere. Dopodiché, calò il silenzio sul forte. Le munizioni erano ormai esaurite. Lungi dall'arrendersi, il capitano Winderling con un centinaio di uomini cominciò ad architettare un audace piano di fuga. Prima di mettere in atto l'estremo tentativo di salvezza, però, si dedicò meticolosamente alla distruzione sistematica di tutti i documenti custoditi nel forte. Con pari attenzione, predispose le cariche esplosive attorno ai cannoni. Nessuna arma sarebbe caduta intatta nelle mani del nemico. Al forte, pronti a far saltare i cannoni rimase l'ufficiale medico Domenico Del Duca con i feriti che non potevano muoversi.
La zona era ormai completamente sotto il controllo delle forze austriache, e purtroppo il tentativo di fuga si rivelò quasi subito fallimentare. La maggior parte degli uomini di Winderling venne rapidamente catturata dopo aver lasciato il forte. Tuttavia, il capitano Winderling, insieme a un maresciallo e tre soldati, riuscirono miracolosamente a sfuggire alla fitta rete di pattuglie nemiche che perlustravano pedantemente l'area. Ora la loro unica speranza era di riuscire a raggiungere i contingenti italiani che, grazie alla tenace difesa del forte, erano riusciti a transitare da quella posizione appena tre giorni prima. Era una corsa contro il tempo attraverso un territorio ostile, sulle tracce dei propri compagni d'armi. Winderling e i suoi uomini dovevano superare gli sbarramenti austriaci e ricongiungersi con le linee italiane. Per tre estenuanti settimane, il piccolo gruppo vagò tra le montagne, sopravvivendo grazie alla generosità dei montanari che offrivano loro cibo e riparo. Il 27 novembre, ormai allo stremo delle forze, raggiunsero finalmente il fronte nei pressi del Monte Grappa. Nonostante i ripetuti tentativi di ricongiungersi con le truppe italiane, vennero infine catturati. Gli austro-ungarici, increduli che quei miseri fuggiaschi fossero gli ultimi difensori del Forte di Monte Festa, li sospettarono di spionaggio e minacciarono di fucilarli. La situazione si risolse quando Winderling chiese di essere identificato dall'ufficiale che aveva precedentemente intimato la resa al forte. Sebbene riconosciuto come ufficiale italiano, Winderling venne sottoposto a estenuanti interrogatori. Il suo cognome insospettì gli austriaci, che lo credettero un irredentista. Trasferito a Trento, tentò nuovamente la fuga, ma venne ricatturato e deportato in un campo di concentramento in Boemia.
Solo nell'ottobre 1918 riacquistò la libertà, raggiungendo Trieste il 7 novembre. Esattamente un anno dopo la drammatica fuga dal forte.
Finita la guerra Winderling continuò a fare l'ingegnere e fu insignito della medaglia d’Argento al Valor Militare (forse quella d'oro era troppo per un ufficiale, che con i suoi pochi uomini, fermò l'avanzata di un esercito più forte e numeroso, salvando migliaia di vite e permettendo agli italiani di ritirarsi verso il Piave).
Durante la visita fermatevi un attimo nel silenzio. Si può ancora udire la voce del capitano Winderling che riecheggia nel forte...io l'ho sentita.
FOTOGRAFIE

Le prime fortificazioni sul sentiero

Panorama sul lago di Cavazzo

Galleria sul sentiero

Fontana sul sentiero

Casermetta

Interno di un vano delle casermette

Scritta della fornace dei mattoni utilizzati

Scritta della fornace dei mattoni utilizzati

La natura sta riprendendo il suo posto

Facciate diroccate delle casermette

Interno casermette

Entrata in galleria per il forte

Interno galleria

Piccolo altarino

Particolare parete

Pavimento sfondato di un edificio

Vano ascensore

Facciata sud del forte

Entrata in galleria che porta alle postazioni

Serbatoio dell'acqua

Interno casematte

Interno casematte

Anello per muli e cavalli

Dal tetto del forte
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