Cimitero ebraico di Wadowice 

Nel Voivodato della Piccola Polonia un antico cimitero per scoprire in modo diverso la cultura ebraica

 

Immerso nella quiete di un bosco che si affaccia sul lago artificiale di Granicznik, appena fuori Wadowice (la città che diede i natali a Papa Wojtyla), si cela un antico cimitero ebraico. È un luogo ben protetto dalla fitta vegetazione, delimitato da un imponente portone di legno e un alto muro di cinta. La sua posizione è singolare, trovandosi a breve distanza dai binari di una tratta ferroviaria che, nel XIX secolo, fungeva da collegamento tra i vari paesi del territorio di Wadowice.

Mi sale un’emozione antica. Con la mia passione per i cimiteri d’altri tempi mi precipito all'entrata. Immediatamente il mio entusiasmo sbatte contro il portone chiuso. Lo schiocco della delusione è immediato: nella testa avevo già varcato la soglia, camminando tra le antiche lapidi. Non mi arrendo. Sfioro il muro di cinta, lo studio come una mappa. Tecla, sconfortata, è già rassegnata all’idea che voglia scavalcarlo, e il muro non è affatto basso. Ci infiliamo nella vegetazione che abbraccia il perimetro; alla curva che guarda il lago, la vedo: una breccia. Si entra!

Oltrepassare quella breccia è come strappare il tessuto dello spazio-tempo: in un attimo precipitiamo indietro di due secoli. Di là, perfino l’aria ha un altro odore. Nonostante il cielo terso e il calore che vibra nell'afa opprimente, ci avvolge un’umidità fredda, inconfondibile. Tra gli alberi, sparse come se una mano enorme le avesse seminate a caso, ci aspettano centinaia di tombe antiche. Guardo l’orologio: sono le due. La luce, verticale, cancella le ombre. Non è l’ora giusta per fotografare. Ma oggi siamo qui è devo trasferire ciò che vedo anche nelle foto. Cammino tra le tombe, cambiando continuamente i settaggi nella macchina fotografica. Poi succede: capisco che questa luce può essere un alleato. Tra le fronde degli alberi i raggi si sminuzzano; le ombre, frastagliate, distillano un’atmosfera decadente, quasi irreale. Il chiaroscuro si fa netto. In alcuni punti lascio pure che l’immagine bruci alcune zone per la sovraesposizione. Di solito mi infastidisce. Non oggi.

La gran parte delle epigrafi parla in ebraico, una lingua che, ahimè, non possiedo. Altre non parlano più: la pietra, consumata dal tempo, ha cancellato i nomi e l’identità di chi vi riposa. Qua e là compaiono iscrizioni in tedesco o in polacco, abbastanza integre da permetterci di ricostruire, almeno in parte, le loro vicende. Nell’Ottocento e fino ai primi decenni del Novecento era consuetudine aggiungere brevi note biografiche sulle lapidi. È così che, leggendo, abbiamo incontrato le tombe di ricchi commercianti, di soldati ebrei che combatterono nella Seconda guerra mondiale, di sopravvissuti ai campi di sterminio.

Immaginate di trovarvi di fronte a un cimitero che risale al lontano 1880, un luogo che conserva in sé storie di vite passate e memorie intatte. Questo cimitero, in uso fino agli anni '60 del secolo scorso, potrebbe dare l'impressione di essere stato abbandonato. Tuttavia, ciò che appare come trascuratezza è in realtà radicato in antiche tradizioni culturali e religiose. Una delle caratteristiche distintive di questo cimitero è collegata alla tradizione ebraica che detta norme specifiche per quanto riguarda le tombe. In contrasto con molte altre culture, l'ebraismo scoraggia la pratica di decorare le tombe con fiori o altri ornamenti. Una volta che una persona è sepolta, la tomba diviene un luogo intoccabile per i vivi, un gesto che simboleggia il rispetto eterno per il defunto e l'eterna separazione tra le due realtà.

Se doveste trovarvi da quelle parti vi consiglio di visitarlo. Come diceva sempre un anziano del mio paese: i morti hanno più bisogno di compagnia dei vivi.

 

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