Nowa Huta 

Alle porte di Cracovia l'utopia socialista della città perfetta

 

Alla periferia orientale di Cracovia, dove fino a ieri correvano campi e filari di betulle, il dopoguerra piantò un’altra semina: Nowa Huta. Pensata come città-modello del socialismo, fu il cantiere dove ideologia e calcestruzzo si strinsero la mano. Nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, su ordine del governo stalinista, sorsero l’acciaieria e, con essa, un quartiere intero: assi monumentali, piazze simmetriche, fasce verdi, servizi raggiungibili a piedi. Decine di migliaia di lavoratori (in gran parte contadini) affluirono attratti da un salario stabile e dalla promessa di futuro; servivano case, scuole, mense, cinema. Pietra dopo pietra, la pianura mutò in una “città di fabbrica” che si voleva perfetta: funzionale, vicina al lavoro, ordinata. Nowa Huta nacque così, come un’utopia costruita a misura di turno, con il respiro delle colate d’acciaio a scandire le ore. 

Il monumento a Solidarnošč all'entrata di Nowa Huta 

Il cartello che indica la via per i bunker antiatomici

Negli anni Sessanta, a Nowa Huta mancava ancora qualcosa: una chiesa. La richiesta divenne ostinazione. Nel 1967 arrivò un via libera, presto ritirato. Al posto dell’altare, il governo volle una scuola, l’ennesima in una città che già ne contava a decine. Allora comparvero le croci, conficcate nel terreno come promesse. La “Battaglia delle Croci” ebbe in testa l’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyła. Seguì la stagione dei manganelli e dei sassi, degli arresti. La ZOMO (polizia comunista polacca) difendeva un progetto, la gente difendeva un luogo. Eppure quell’ostinazione prese forma e nome: Arka Pana, l’Arca del Signore. Wojtyła la consacrò il 15 maggio 1977. La città, finalmente, ebbe la sua chiesa.

L'interno di Arka Pana

Karol Wojtyla durante la costruzione di Arka Pana

Oggi Nowa Huta è una periferia ordinata, attraversata da viali larghi e cortili silenziosi. Il passato è lì, ma non è la distesa grigia e austera descritta nei dépliant turistici. I portici prendono luce, i filari di alberi spezzano l’impianto monumentale, i caffè sbucano dove un tempo si facevano assemblee. Camminare per queste vie significa entrare in un fotogramma preciso dove l'urbanistica è cambiata poco, la misura socialista è rimasta, ma i tempi sono cambiati. Al centro non c’è più la grande statua di Lenin; la piazza che la ospitava porta oggi il nome di Ronald Reagan e, secondo la cronaca, una parte di quella scultura finì in una collezione svedese. Vale la visita: se la si affronta con lo sguardo giusto, ci si immerge nei giorni di un’epoca che, nel bene e nel male, ha modellato la storia polacca.

FOTOGRAFIE 


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